giovedì 5 maggio 2016

La presa in Giro (d'Italia) della RAI sul motociclismo


Non è passato inosservato il promo della RAI per il Giro d’Italia di quest’anno, che scatterà domani dai Paesi Bassi. Il tanto chiacchierato spezzone mette a confronto il motociclismo e, appunto, il ciclismo, elevando quest’ultimo nella vetta. La cosa ha fatto storcere il naso un po’ a tutti gli appassionati delle due ruote (col motore), animando anche molti esperti del settore.

Non facciamo giri di parole e andiamo diretti al punto: lo spot è assolutamente ridicolo e vergognoso, sporcando sia l’immagine dei cavalieri su due ruote che quella dei corridori che intraprenderanno il viaggio per tutta la penisola. Il ciclismo è tutta un’altra cosa: tipo di gara differente, mezzi diversi e molto altro ancora che rende le due discipline inconfrontabili.

Si cita nella pubblicità che i ciclisti sono senza tuta, ragazza con l’ombrellino, tifosi seduti comodamente in tribuna e che corrono incondizionatamente dal meteo che si ritrovano nel percorso. Se vogliamo proprio analizzare il tutto, i motociclisti hanno il bisogno della tuta, altrimenti possono dire addio a qualche parte del corpo o alla vita; i tifosi manco son molto più vicini ai loro idoli di quanto si creda e se avessero le doti di correre a piedi ai 300 all’ora sarebbero sempre al loro fianco. Infine, vorrei ben vedere qualcuno correre alla velocità citata prima con una superficie pari ai campi di calcio saponato (e ci è scappato anche il morto qualche anno fa).

Il ciclismo è uno sport bellissimo e affascinante, però evitiamo di paragonarlo a qualcosa che non centra assolutamente nulla. Alla fine chi ne esce peggio è lo sport che si voleva elevare a superiore ed è un peccato che la RAI non l’abbia capito. Forse l’avrà fatto perché ha perso in buona parte anche la Formula 1 per colpa di Sky, detentrice del Motomondiale? Chissà…

mercoledì 4 maggio 2016

Il Toro Russo vede Rosso (e i tifosi s’infuriano)

Daniil Kvyat e Sebastian Vettel dopo il Gran Premio di Cina.

Articolo originariamente scritto per Stop&Go. Puoi trovarlo qui.

Sono fioccate molte critiche e, purtroppo, molte offese nei confronti di Daniil Kvyat, da parte di coloro che si dichiarano amanti della Formula 1 ma che dimenticano di non essere in uno stadio di calcio.

Quello di cui si è parlato tanto alla conclusione del Gran Premio di Russia non è stato tanto la quarta vittoria stagionale di Nico Rosberg o del recupero di Lewis Hamilton, ma del comportamento aggressivo di Daniil Kvyat che ha portato, in seguito, Sebastian Vettel a muro. Da quel momento la stampa italiana, i tifosi della Ferrari e coloro che si dichiarano amanti della Formula 1 hanno criticato il pilota russo, fino ad arrivare alle offese gratuite.

Come abbiamo già scritto sulla nostra rubrica “Up&Down” sulla gara di Sochi, il driver della Red Bull ha certamente sbagliato; però, a chi non può capitare? Guidare una monoposto di Formula 1 con altre ventun vetture che ti circondano non è facile, figuratevi chi gareggia nel WEC o in altre serie con un parco partenti maggiore.

E’ sempre strano che quando viene coinvolto un pilota della Rossa non nascano delle polemiche. Quando lo stesso Vettel rischiò di rovinare la sua gara e quella di Mark Webber nel Gran Premio di Turchia del 2010 nessuno disse nulla, mentre se parliamo del Gran Premio del Brasile 2008 o di Petrov che bloccò Fernando Alonso nel 2010 ad Abu Dhabi bisogna dire la propria.

La scorrettezza vista da molti è semplicemente la troppa foga che ha messo Daniil alla partenza, dovuta anche ai ritmi forsennati che la categoria impone ai piloti allo start, soprattutto a Sochi dove è difficile sorpassare e la gara si gioca soltanto nelle prime curve.

Eppure, c’è chi afferma apertamente che i piloti devono essere sempre aggressivi e regalare spettacolo, facendo ritornare i bei tempi che furono. Dunque, quando si parla dell’episodio avvenuto fra Ayrton Senna e Alain Prost nel Gran Premio del Giappone del 1990 tutti son d’accordo nel dare ragione al brasiliano, in quanto il francese l’anno prima “rubò” il titolo al carioca. Per chi non ricordasse, Ayrton tamponò alla prima curva l’allora pilota della Ferrari, mettendo a rischio la sua vita e quella del rivale. Non è la stessa cosa di quel che è successo domenica?

Guardando anche la NASCAR – campionato stock-car amato e seguitissimo negli Stati Uniti – questi episodi sono all’ordine del giorno, con gli appassionati che non dicono nulla e si godono lo spettacolo. L’anno scorso il doppiato Matt Kenseth colpì il leader Joey Logano a Martinsville, ritenendolo responsabile di una sua mancata vittoria nella stessa stagione a causa di un contatto innescato dal secondo, mandandolo a muro e privandolo di un sicuro posto nella lotta al titolo.

La mentalità calcistica degli Ultras sta ormai invadendo anche altri sport e la Formula 1 n’è un esempio lampante. Ogni anno a Monza se il vincitore non indossa una tuta rossa viene fischiato e questo fa male a una disciplina dove ogni pilota sfida la vita per ottenere il successo e far divertire la gente. Non sono importanti i colori e tantomeno la nazionalità; quel che conta è riconoscere questi cavalieri del rischio e rispettarli, senza lanciare offese gratuite – come nel caso di Kvyat e sulla sua pagina Facebook. Dietro la tastiera tutti leoni a dire che se fossimo noi al volante saremo migliori, ma in verità è che non saremo nemmeno capaci ad accenderla la vettura.