venerdì 7 ottobre 2016

Gli “agenti” dello spettacolo in Formula 1



Son passate diverse settimane dal Gran Premio d’Italia di Formula 1, considerato uno degli eventi storici e principali del Mondiale, soprattutto per la storia che ha Monza alle proprie spalle. Il circuito brianzolo ha ospitato ogni gara del Circus – tranne nel 1980, sostituito da Imola – e ha visto tutto il paddock evolversi, dalle origini fino ai giorni nostri.Il Gran Premio di quest’anno non è stato certamente emozionante e sono stati pochi i momenti in pista che hanno fatto alzare dalle tribune i tifosi venuti ad assistere alla corsa. Eppure, Monza è un circuito classico nel disegno e atipico al giorno d’oggi, e già in passato ha dimostrato di poter regalare delle gare emozionanti. Dunque, dove si trova la colpa? 

Ho pensato a lungo una risposta alla seguente domanda, che mi ha impegnato in questo mese trascorso da quel week-end. Non ho individuato un colpevole, ma più agenti che hanno influito a trasformare la Formula 1 in un circo che, oramai, non sa più divertire. Cominciamo con ordine, dividendo in punti le cause.
  • Le vie di fuga - Se ne parla ormai da anni di queste vie di fuga asfaltate, presenti in ogni curva di ogni circuito. Ormai, sono ben pochi gli autodromi che ospitano importanti categorie che abbiamo vie di fuga in erba o in ghiaia, così come era stato fino alla metà degli anni 2000. I piloti, al giorno d’oggi, possono sbagliare quanto vogliono, senza rischiare di compromettere la vettura o di fermarsi senza altre soluzioni fuori pista, bloccati dalla ghiaia. Il lavoro delle vecchie vie di fuga era sì quello di salvaguardare le vetture e i piloti dall’impatto contro le barriere, ma anche quello di mettere un limite ai piloti e di spronarli a rischiare fino all’ultimo centimetro d’asfalto senza rimanere poi bloccato fuori. Basta vedere nelle categorie minori: quanti macchine vedete fuori alla prima curva, nelle vie di fuga? Troppe, direi.
La Radillon di Spa-Francorchamps nel 1999. Da notare le barriere più vicine al tracciato, così come la presenza della ghiaia e dell'erba all'esterno e all'interno.
  • I cordoli – Alzi la mano chi si ricorda i voli che le monoposto di Formula 1 effettuavano quando salivano su un cordolo. Probabilmente pochi o nessuno, dato che i cordoli sono diventati parte integrante della pista. Sono bassi, larghi, lunghi e con un bel tappino d’erba che li circondano come ornamento floreale. Anni fa erano un pericolo per i piloti, che dovevano evitarli per non rovinare (o distruggere) le proprie sospensioni, o anche per non capottarsi. Come per le vie di fuga, tutti tendono ormai ad andarci sopra e oltre, e non rappresentano più un pericolo
Quando a Monza si saltava sui cordoli, prendenendo il volo...
  • L’aerodinamica – Se le vetture non possono stare così vicine quando sono in scia è sicuramente colpa dell’aerodinamica delle stesse monoposto, che impediscono le battaglie vere in pista. Questi problemi sempre sono esistiti e sempre esisteranno, ma il regolamento tecnico certo non aiuta.
E' ancora possibile una cosa del genere?
  • La misura e il peso delle vetture – Grandi, grosse e lunghe, le monoposto attuali sono grandi quasi quanto le vetture turismo o le LMP1 del Mondiale Endurance. Esteticamente non sono belle, figurarsi con quelle ale anteriori giganti. Solo 10 anni fa erano più semplici, belle e accattivanti, ma decisamente più contenute e leggere. 
La Jordan, la Williams e la Minardi nel 2000. Quando le Formula 1 erano semplici e belle...
  • Il DRS – Già si è parlato tanto e già molti lo vogliono abolire, ma il sistema dell’alettone mobile, che serve a favorire il sorpasso di coloro che inseguono sotto il secondo la vettura che gli precedono, è una gran porcata che si sta estendendo a sempre più categorie; è notizia di qualche giorno fa quello dell’implemento del congegno anche in GP3. Dov’è finita l’arte del sorpasso, cara ai Mansell, ai Senna, ai Piquet, agli Hakkinen e agli altri campioni del passato?
"Vedi Michael, hai capito come ti ho sorpassato?"
  • Le gomme – Che differenza c’è tra una ultrasoft e una hard? Per la Pirelli una dura più dell’altra, mentre per gli appassionati, che guardano le gare in televisione, nessuna; sono vere entrambe le affermazioni, soprattutto perché quest’anno le ultrasoft – tradotte in gomme da qualifica – son riuscite a tenere la pista per quasi venti giri in gara. Senza una differenza ampia e sostanziale, le strategie sono diventate banali e piatte. 
Mansell avrebbe voluto le gomme di oggi nel 1986.
  • I pit-stop – Ci sono diverse componenti nel pit-stop che dovrebbero essere cambiate: il ritorno del rabbocco di carburante e l’eliminazione di diversi meccanici addetti. Per la prima, una strategia basata sulla quantità di benzina movimenterebbe di più lo spettacolo ai box, influenzando anche il risultato finale della corsa; il secondo punto l’ho pensato guardando le gare americane, tra la NASCAR e la IndyCar. Sono pochi gli addetti al cambio gomme e all’assistenza dell’auto, che darebbe un valore in più a coloro che danno il 100% in queste occasioni. Attualmente i pit-stop non durano nemmeno due secondi, che non danno reali conseguenze se non si vede qualche errore evidente.
Un pit-stop durante una gara NASCAR. Con molto lavoro diviso in pochi addetti, molte corse son decise ai box.
  • Le penalità – Quante penalità si vedono a fine della gara o durante la stessa? Tante o anche troppe. Se sul giro cronometrico o sul sorpasso si può azzardare per le vie di fuga, da un lato non si può nemmeno tentare un ruota a ruota o una staccata a ruote fumanti che si rischia uno stop and go o una multa con annesso punti sulla patente. E pensare che se corressero oggi i Villeneuve e gli Arnoux sarebbero già banditi dal campionato.
Quanti punti sulla patente volete ritirare a questi due?
  • Il calendario – Un numero così alto di tappe lo si vede solo nelle categorie NASCAR, ma che hanno altre motivazioni storiche e sociali per farlo. Ventun gare son troppe, richiede uno sforzo economico altissimo e, soprattutto, non sono studiate bene. Perché correre in Azerbaigian o ad Abu Dhabi, dove solo i magnanti petroliferi sono interessati a vedere la corsa, piuttosto che Francia o i Paesi Bassi? Non puoi appassionare la cultura locale ai motori se prima non studi una base che parte dal basso, così come fece il Giappone tra gli anni ’70 e ’80. 
Jacques Villeneuve in azione con la BAR al Gran Premio di Francia del 2000.
  • La vicinanza al pubblico – Il modello americano e quello europeo (per quanto riguarda l’Endurance o il GT) insegna, solo che la Formula 1 non vuole capirlo. Non c’è nessun contatto fisico fra i piloti e le squadre con i tifosi, che hanno possibilità di vedere da vicino i propri piloti solo al giovedì o al venerdì. In altre categorie organizzano la pit-walk o la sessione di autografi, anche la domenica di gara. Il Circus è dentro a una bolla che non è a contatto col mondo esterno, tra il proprio lusso e le proprie feste.
Alexander Wurz firma degli autografi a Spa-Francorchamps, nel week-end del WEC, nel 2014.
  • I costi per i tifosi – Andare in tribuna alla gara della domenica è diventato affare per i ricchi, che sborsano fior di soldi pur di vedere la gara dalle tribune centrali, oppure da coloro che risparmiano soldi per poter vedere, almeno una volta, un Gran Premio. Con lo stesso prezzo si può comprare tutte le entrare per vedere le gare del WEC. Questo divario non è assolutamente giustificabile per il Circus. 
Il poster della 4 ore di Imola dell'ELMS coi prezzi.
Alla fine, non è colpa di Monza se lo spettacolo non s’è visto, ma di una Formula 1 che si è evoluta, ma prendendo una strada che porta alla selva oscura e non al paradiso.

lunedì 8 agosto 2016

Quando c’era il Jacarepaguá


5 agosto 2016. Tutto il mondo sta seguendo l’apertura dei 31esimi Giochi Olimpici, ospitati nella città brasiliana di Rio de Janeiro. Lo sport sarà protagonista per due settimane, dove atleti di tutto il mondo si daranno battaglia per la conquista delle medaglie olimpiche, tra le 2.000 circa disponibili.
 
Le attività olimpiche si divideranno in quattro zone (oltre ad altri siti al di fuori della città per il torneo di calcio) e, tra le più grandi, è quella di Barra, a sud-est della città e dove è anche situato il villaggio olimpico. Gli stadi e gli impianti si concentrano su una zona triangolare e bagnata dal Lago di Jacarepaguá, collegato all’Oceano Atlantico.

Così, un lembo di terra prende vita e regalerà sicuramente dei momenti di sport memorabili; eppure, già precedentemente erano stati impressi delle storie che molti non dimenticheranno e che non hanno dimenticato, perché lì viveva – sì, il termine è esatto – Autódromo Internacional Nelson Piquet, o conosciuto da tutti come Jacarepaguá.

Il circuito del Jacarepaguá, dopo i lavori del 1996.
Anche il Jacarepaguá venne costruito sopra a un circuito già esistente, l’Autódromo Nova Caledônia, costruito nel 1965 e aperto nel 1965. Il nuovo circuito venne completato nel 1977 e al progetto parteciparono pure il campione del mondo di Formula 1 Emerson Fittipaldi e Luiz Pereira Bueno. Da lì, la storia del circuito brasiliano si unì a quella del Circus iridato, ospitando dal 1978 al 1989 – saltando il 1979 e il 1980 – il Gran Premio del Brasile, valevole per il Mondiale.

Prima prova del campionato e sede di numerosi test pre-stagionali, il Jacarepaguá è stato molto amato negli anni a venire, offrendo una pista tecnica ma, allo stesso tempo, veloce, e con una cornice naturale affascinante, unite alle tante mongolfiere colorate che s’alzavano in cielo.

Il pubblico è stato l’altra cornice di spettacolo al Gran Premio: nel 1988 Ayrton Senna – in pole position davanti ai suoi connazionali – ebbe un problema sulla sua vettura prima della partenza e, per prender comunque parte alla gara, ricorse al muletto, cosa vietata dal regolamento. I commissari di gara non lo squalificarono subito, dato che il carioca stava regalando forti emozioni a chi stava assistendo la gara dalle tribune per via dei suoi sorpassi.

Ayrton Senna in azione con la sua McLaren-Honda al Jacarepaguá nel 1988.
Da ricordare anche il Gran Premio del 1981: l’argentino Carlos Reutemann vinse la corsa davanti al compagno di squadra Alan Jones, campione in carica con la Williams. Il problema fu che la squadra segnalò a “Lole” l’obbligo di far passare l’australiano, ma Reutemann s’oppose, dando inizio alla faida interna che portò, a fine campionato a Las Vegas, la vittoria al rivale Nelson Piquet.

Carlos Reutemann precede Alan Jones durante il Gran Premio del Brasile del 1981.
Purtroppo, nel 1990, la Formula 1 passò al circuito di Interlagos e il Jacarepaguá uscì dal giro internazionale, tornando poi nel 1996 grazie alla CART e a un ovale costruito appositamente, che modificò parte del layout del tracciato Grand Prix. Anche il Motomondiale tenne il suo Gran Premio nel circuito brasiliano, ospitato dal 1997 fino al 2004.

Il Jacarepaguá in occasione dell'evento della CART.
Con l’abbandono delle gare internazionali e la limitazione al solo campionato Stock Car brasiliano, si decise di demolire parte del circuito per lasciar spazio a degli impianti per i Giochi Panamericani e poi, quando fu ufficiale, la demolizione completa per i Giochi Olimpici.

Il Jacarepaguá demolito, nel 2012.
Fine terribile, seppur con onore, per un circuito che rimarrà per sempre nei cuori degli appassionati.